Indice:
- CAPITOLO 1
- CAPITOLO 2
- CAPITOLO 3
KRAV MAGA
Difesa personale e sicurezza
Manuel Spadaccini
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CAPITOLO 1
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1. Come sopravvivere a un pestaggio di gruppo. L’argomento di oggi è come sopravvivere a un pestaggio. Ve lo dico subito: sono cazzi. Perché dico che sono cazzi? Perché di fronte a un pestaggio siamo veramente nei guai. Fateci caso: le aggressioni più drammatiche, quelle che poi sfociano anche nell’uccisione della vittima, nove volte su dieci sono pestaggi. Sono più persone contro una. Si perde il controllo, la situazione degenera, ed è difficile che in un uno contro uno ci scappi il morto. Ma quando sono in tanti contro uno, la situazione è veramente ingestibile. Non pensate che sia una cosa lontana da voi, tipo «a me non succederà mai». Ve lo auguro, però fateci caso: spesso i pestaggi avvengono anche per sciocchezze. Una provocazione, una sigaretta chiesta apposta per provocare la vittima, qualche battibecco, e lì scatta l’aggressione di gruppo. Per cui, è una cosa tutt’altro che rara. Vediamo anzitutto di capire perché i pestaggi spesso degenerano in tragedie, principalmente per due motivi. Il primo motivo è che ci sono tante persone coinvolte, e di conseguenza non c’è più il rapporto uno a uno tra aggressore e vittima. Che cosa significa? Un aggressore che dà tre o quattro colpi può essere consapevole e dire: «Ok, l’ho messo a terra, basta. So che colpi ha ricevuto, so che colpi ho dato», e quindi si fa un’idea di quello che sta succedendo. Quando ritiene che la «lezione» sia sufficiente, è probabile che si fermi. Ma in un pestaggio è una cosa completamente diversa. Ci sono tante persone, ognuno dice la sua, ognuno dà i suoi colpi, quindi è difficile capire quanti colpi ha preso la vittima in totale. Basta che ogni aggressore dia tre o quattro calci: se sono dieci aggressori, la vittima ha preso 30-40 calci. Capite, no? Ogni persona non è consapevole dell’aggressione totale, di quello che faranno gli altri. Ognuno ci mette un po’ del suo, dà i suoi colpi, e alla fine la povera vittima viene massacrata di botte. Il secondo motivo per cui un pestaggio sfocia in tragedia è che spesso le persone si caricano a vicenda. È un po’ quello che succede nel branco con i lupi. Un singolo lupo ha una certa aggressività verso la preda, ma quando si ritrova in branco prende coraggio, diventa ancora più aggressivo, e i vari membri del branco si caricano a vicenda. La stessa cosa succede con gli esseri umani: Un colpo tu, un colpo io, prendo coraggio, tu prendi coraggio, e alla fine siamo come leoni contro la povera vittima. Allo stesso modo, questa carica di gruppo porterà le persone a non voler essere le prime a interrompere il pestaggio, perché l’adrenalina oscura il cervello. Di conseguenza, nessuno dirà: «Fermi, ragazzi, basta così». Questo è il problema: nessuno sa mettere uno stop all’aggressione. Ma quindi, cosa fare per sopravvivere a un pestaggio? Ora sarò molto chiaro con voi. È una questione di equilibrio, e sta a ognuno di voi, in quella precisa situazione, capire se proteggersi o combattere. Ma sappiamo che entrambe le cose non si possono fare contemporaneamente. Vi spiego meglio. Partiamo dal presupposto che durante un pestaggio, nove volte su dieci, si finisce a terra. Questo significa che quando siamo a terra non possiamo più difenderci muovendoci. Siamo vittime di tante persone che ci hanno circondati, ci colpiscono, ed è proprio lì che poi succedono le tragedie. Quando siamo a terra, abbiamo due possibilità: o ci proteggiamo, o tentiamo di trovare una via di fuga. Se ci dobbiamo proteggere, prendiamo sempre la posizione fetale, perché è la posizione più chiusa, più raccolta, quella che espone meno massa corporea e che protegge gli organi vitali. Anche se è istintivo allungare le mani per cercare di parare calci e pugni, non lo facciamo, perché dobbiamo preservare la nostra incolumità. Lo so, non stiamo facendo nulla per fermare i nostri aggressori, ma in questo caso non è possibile fare nulla, perché saranno in tanti, ci hanno circondati, e di conseguenza cercare di prendere tempo e sperare che si calmino è l’unica possibilità che abbiamo. C’è anche l’altra alternativa, quella di provare a trovare una via d’uscita. Trovare una via d’uscita non è semplice, perché dovrò pagare un caro prezzo. Nel momento in cui voglio uscire dal pestaggio, dovrò cercare di bloccare una gamba o due gambe di un aggressore che ho scelto intorno a me, che mi darà la possibilità di trovare un corridoio di uscita. Lo blocco, lo porto a terra e provo a scappare in quella direzione. Però sappiamo che a ogni tentativo consumerò energie e mi esporrò a nuovi colpi. Vuol dire che il tentativo di buttare a terra uno e trovare il corridoio di uscita lo potrò fare poche volte, e lì sta nella fortuna, nel buon senso, nella tecnica, in tutte le carte che possiamo avere per tentare la volta buona di sopravvivere. Non abbiamo la bacchetta magica, quindi più di questo non posso dirvi, se non cercare di bloccarne uno e buttarlo a terra per scappare. Ricordate che se avete preso una valanga di botte, non sarete performante nella vostra fuga. Sarete lenti, magari disorientati, doloranti. Quindi, per fuggire, vi consiglio, per esempio, di entrare nell’androne di un palazzo, chiedere aiuto, oppure andare in un locale pubblico o fermare un passante per chiedere aiuto. Questo potrebbe fermare i vostri aggressori dall’inseguirvi o dal continuare a picchiarvi. Abbiamo capito che in entrambi i casi siamo nei guai e avremo vita breve. Se mi chiudo a riccio, i colpi arriveranno, e prima o poi mi sfiancheranno. Se tento di scappare, ogni tentativo mi costerà caro, prenderò dei colpi che magari mi faranno perdere conoscenza. Per cui, come vi ho detto, sono cazzi.
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2. Cosa osservare per capire se chi abbiamo davanti sa combattere. Stiamo purtroppo litigando con qualcuno: è arrivato vicino e iniziamo a temere che la situazione possa degenerare. Dovremmo magari muovere le mani? Speriamo di no, ma siamo in grado di riconoscere se questa persona può essere impegnativa? Cioè, siamo in grado di capire se sa combattere? Ci sono elementi che indicano la pericolosità del soggetto? Ci sono quattro elementi principali che possono farci capire se una persona sa combattere, per riflettere se affrontare lo scontro oppure no. Il primo elemento da osservare in una persona che si è avvicinata e che dobbiamo capire se sarà un avversario ostico è la postura. Le gambe non saranno mai rigide, inchiodate come due tronchi, ma, se questa persona ha esperienza nel combattimento, saranno flesse sulle ginocchia. Questo è uno dei primi elementi insegnati in qualsiasi sport da combattimento ed è importante perché al fighter consente di essere stabile nel ricevere colpi o spinte, quindi di assorbirli. Inoltre, con le ginocchia flesse, è più mobile nelle schivate o nel portare colpi, e le ginocchia flesse garantiscono grande esplosività nei colpi. Di conseguenza, se vediamo una persona con una posizione a ginocchia flesse, magari con un piede avanti e uno indietro, già in guardia, qualche campanello d’allarme deve scattare. Il secondo elemento da osservare è come tiene le spalle. Una persona che sa combattere difficilmente avrà le spalle basse, ma le solleverà istintivamente per proteggere il mento. Questo aiuta a colpire meglio ed è un indicatore di un’attitudine al difendersi e al combattere. Il terzo elemento da controllare è come gestisce il mento. Sì, perché, come magari capita di vedere, alcune persone vi affrontano faccia a faccia e vi sfidano col mento alto. Ecco, quella persona molto probabilmente non sarà un fighter, perché il fighter, o chi è avvezzo al combattimento, tende a proteggere il mento, sapendo che è un bersaglio molto sensibile. Il mento è un bel pulsantone che, se colpito, può spegnere una persona. Chi sa combattere non ve lo regalerà mai con fare altezzoso, ma lo terrà basso. Pensate che, in alcune discipline da combattimento, gli insegnanti fanno mettere ai principianti una pallina sotto il mento per abituarli a tenerlo chiuso. Anche lo sguardo è importante: se il mento non è alto, non vi guarderà dall’alto in basso per sfidarvi, ma una persona con il mento basso che vi osserva dal basso verso l’alto è più pericolosa, perché è abituata a combattere, osservare e proteggersi. Questo è un segnale di pericolo. Il quarto elemento è la fisicità, in particolare il collo sviluppato. I fighter spesso allenano il collo, perché un collo robusto assorbe meglio i colpi al viso, proteggendo di più rispetto ad un collo debole e riducendo il rischio di knockout. Un collo sviluppato indica che la persona si allena per il combattimento. Anche il naso è un segnale: un naso schiacciato, storto o con il setto nasale allargato suggerisce molte ore di allenamento e colpi ricevuti. Ad esempio, il mio naso sembra a posto, ma di profilo si schiaccia contro la faccia, segno di tanti colpi, anche se è ancora decente da guardare. Se vedete un naso così, probabilmente quella persona pratica il combattimento. Le orecchie a cavolfiore sono un altro indizio: si formano dopo tante ore di allenamento, con pressione costante o colpi che creano ematomi, deformando la cartilagine. Se vedete un orecchio a cavolfiore, quella persona si allena intensamente ed è abituata al corpo a corpo o a ricevere colpi. Attenzione a questi campanelli. Non è detto che chi non ha queste caratteristiche non sappia combattere, ma chi le possiede probabilmente sa muovere le mani. Se pensate di affrontare una persona del genere come bere un bicchier d’acqua, ecco, riconsiderate, perché non sarete il suo primo avversario. Decidete voi cosa fare.
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3. Le quattro regole per gestire tutte le aggressioni. Adesso vi spiego le quattro priorità fondamentali della difesa personale, quattro consigli che, anche se non sapete combattere o vi sentite spaventati durante un’aggressione, vi permetteranno di fare la cosa migliore in quel momento. Seguendo queste indicazioni, non avrete rimpianti, perché avrete agito nel modo più logico e sicuro possibile. Ho dedicato oltre venticinque anni alla sicurezza e alla difesa personale, e in questo tempo ho individuato quattro priorità essenziali. Rispettandole, sarete in grado di affrontare qualsiasi aggressione, indipendentemente dall’esito. Che l’incontro finisca bene, male o in modo incerto, avrete la certezza di aver fatto tutto il possibile. Ecco la prima priorità: non prendere i colpi. Sembra scontato, ma è un concetto fondamentale che molti trascurano. Spesso, durante un litigio o uno scontro in strada, le persone peccano di superbia: pensano solo a colpire, a scegliere il momento giusto per sferrare un pugno o una combinazione, senza proteggersi. Così facendo, si espongono agli attacchi dell’aggressore. Se vi trovate in una situazione di pericolo, con qualcuno che vi minaccia, la prima cosa da fare è evitare i colpi. Come? Ad esempio, mantenendo una distanza di sicurezza o alzando le mani come per gesticolare, creando in realtà una sorta di guardia camuffata. Anche se conoscete mille tecniche spettacolari, un colpo ben assestato in faccia può mettervi KO prima ancora di iniziare. La seconda priorità è legata alla respirazione. Se qualcuno vi sta strangolando, bloccandovi le vie respiratorie, la vostra priorità assoluta deve essere liberarle. Sembra ovvio, ma in una situazione del genere, cercare di colpire l’aggressore potrebbe non funzionare. Se i vostri colpi non vanno a segno, se l’avversario è resistente o se colpite una parte del corpo sbagliata, rischiate di perdere tempo prezioso. In media, sotto l’effetto dell’adrenalina, avete circa sette secondi prima di perdere conoscenza. Per questo, ogni vostra energia deve essere concentrata nel liberare le vie respiratorie, non nel tentare di colpire. Solo dopo aver ripristinato la respirazione potrete pensare a combattere. Prima si libera la gola, poi si agisce. Passiamo alla terza priorità: se l’aggressore è armato, gestite il braccio armato. Un’arma, che sia un coltello, un bastone o una bottiglia rotta, dà all’avversario un vantaggio letale. Concentrarsi su altre parti del suo corpo, ignorando l’arma, è un errore logico. Purtroppo, capita spesso di vedere persone che, di fronte a un coltello, cercano di spingere via l’aggressore colpendolo al viso o al petto, senza considerare che il vero pericolo è il braccio che impugna l’arma. Per questo, è fondamentale allenarsi a sviluppare l’automatismo di concentrarsi sul braccio armato. Anche se l’aggressore può usare altre parti del corpo, il vostro focus deve essere sull’elemento più pericoloso. Non essendo polipi con otto tentacoli, non potete controllare tutto: date priorità a ciò che può farvi più male. Infine, la quarta priorità: se cadete a terra, rialzatevi. In strada, il combattimento a terra deve essere evitato il più possibile. Può capitare di cadere, magari perché si scivola, si viene spinti o si riceve un colpo, ma l’obiettivo deve essere sempre quello di tornare in piedi. Rimanere a terra è estremamente pericoloso: se arrivano altre persone, anche se sapete combattere bene al suolo, rischiate di essere sopraffatti. In palestra, su un tatami, ci sono regole, un arbitro e un avversario che combatte ad armi pari. In strada, invece, siete in balia degli eventi: un amico dell’aggressore potrebbe arrivare e colpirvi con un calcio in faccia, mettendo fine a tutto. Per questo, non dovete mai portare volontariamente un aggressore a terra, perché non sapete se è solo o se altri potrebbero intervenire. Se proprio dovete mettere a terra qualcuno, usate tecniche come quelle dove l’aggressore è a terra ma voi rimanete in piedi o in posizione di controllo, pronti a rialzarvi. Applicare leve articolari o tecniche di sottomissione a terra, come in un incontro di lotta, è rischioso: una volta applicata la tecnica, cosa fate? Quindi evitate il combattimento a terra; se ci finite, fate di tutto per rialzarvi e riprendere mobilità. Queste sono le quattro priorità fondamentali della difesa personale. Rispettandole, guiderete il vostro istinto di sopravvivenza nel modo più efficace possibile. Non avrete rimpianti, perché avrete agito con logica, senza improvvisare decisioni sbagliate. Se poi riuscirete a uscirne illesi, tanto meglio. Ricapitoliamo: prima, non prendete i colpi, proteggetevi come una squadra di calcio che costruisce una solida difesa prima di pensare a fare gol. Seconda, se vi strangolano, liberate le vie respiratorie, perché senza ossigeno non potrete fare nulla. Terza, se c’è un’arma, concentratevi sul braccio armato, perché è quello il vero pericolo. Quarta, evitate di combattere a terra; se ci finite, rialzatevi per riprendere la capacità di muovervi, schivare e difendervi.
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4. Come affrontare un faccia a faccia: dove guardare. Quando un tizio con fare minaccioso vi si avvicina e vi si piazza davanti, potreste sentire l’impulso di non tirarvi indietro, di restare faccia a faccia, senza cedere, per dimostrare che non avete paura, per far vedere che siete più tosti di lui o magari per fare bella figura con una ragazza lì vicino. Ma è davvero utile, o è una strategia da perdenti? Adesso vi spiego perché questo atteggiamento è spesso un errore. Quasi tutte le aggressioni e le scazzottate iniziano con una fase di faccia a faccia, con due persone vicinissime che si sfidano guardandosi negli occhi, finché non scoppia il patatrac. Questa vicinanza è quasi una certezza prima di uno scontro fisico. Istintivamente, è un modo per cogliervi di sorpresa. Quando qualcuno è così vicino, un pugno può arrivare così velocemente — in pochi millisecondi — che il vostro tempo di reazione, che richiede circa 300-350 millisecondi per elaborare e rispondere, è troppo lento per parare o schivare. A 50 centimetri, un colpo è quasi impossibile da contrastare in tempo, rendendo questa distanza ravvicinata perfetta per un attacco a sorpresa, come il classico pugno da vigliacchi che si vede spesso nelle risse di strada. Mantenere una distanza di sicurezza sarebbe l’ideale, ma non è sempre possibile. Potreste essere con le spalle al muro, magari contro la vostra macchina dopo una lite in strada, o con il bancone di un bar dietro di voi, in situazioni quotidiane — non un ring o una gabbia — dove non potete creare lo spazio che vorreste. Se riuscite a mantenere circa un metro di distanza, è già qualcosa di utile. Ma dove guardare in quel momento di tensione faccia a faccia? Fissate l’aggressore negli occhi per mostrarvi coraggiosi? Guardate in giro con noncuranza? Guardate per terra sperando di calmare la situazione? Fissarlo negli occhi per dimostrare di essere strafighi è un grande errore, e guardare in giro come se niente fosse è altrettanto sbagliato. Guardare negli occhi può essere utile, ma solo per una frazione di secondo. I vostri occhi devono funzionare come telecamere di sorveglianza, scansionando l’intera scena. Uno sguardo rapido agli occhi dell’altro mostra che non siete intimoriti, ma dovete anche osservare tutto il suo corpo. Sta mettendo le mani in tasca, magari per prendere un coltello? Sta tirando indietro una spalla, preparando un pugno? Ho notato un comportamento curioso: molti aggressori, poco prima di colpire a sorpresa, si aggiustano i pantaloni o spostano il peso all’indietro. Potrebbe essere un modo per farvi abbassare la guardia, facendovi credere che si stiano rilassando o che stiano per andarsene. Per esempio, potrebbero fingere di parlare con un amico o di voltarsi per allontanarsi, solo per colpirvi quando meno ve l’aspettate. Questi movimenti sottili — aggiustarsi i pantaloni, spostare un piede, o distogliere lo sguardo — sono trappole per farvi pensare che il pericolo sia passato, preparandovi a diventare un bersaglio perfetto. Poiché la vostra visione periferica non può cogliere tutto quando le mani dell’aggressore sono basse e vicine, siete vulnerabili a colpi che non vedete arrivare. I fighter professionisti mantengono la distanza per osservare le spalle e i movimenti dell’avversario, evitando il faccia a faccia perché sanno che un colpo a sorpresa è più probabile in quella posizione. Quindi, non cadete in questo errore. Inoltre, osservare non solo l’aggressore ma anche ciò che vi circonda è fondamentale. Vi permette di capire se ci sono suoi amici pronti a intervenire, rendendo lo scontro uno contro tanti. Potete notare se qualcuno sta prendendo qualcosa dalle tasche, come un’arma, o individuare oggetti utili per difendervi, come una sedia in un locale per tenere a distanza l'aggressore, o una bottiglia che potrebbe essere usata contro di voi. Guardare intorno vi aiuta anche a trovare vie di fuga, come un’uscita di emergenza o una scala in una stazione della metropolitana, per capire dove scappare in caso di necessità. Infine, il suo sguardo può rivelarvi molto. Non si tratta di fare una scansione psicologica in 30 secondi per capire se sta bluffando o vuole davvero colpirvi — non siamo così bravi da decifrare una persona in un istante. Tuttavia, potete riconoscere alcuni segnali. Se vi fissa negli occhi per sfidarvi, fate molta attenzione al momento in cui distoglie lo sguardo. Potrebbe essere un trucco per farvi rilassare, per farvi abbassare la guardia mentale, rendendovi vulnerabili a un colpo. Non pensate che, se guarda altrove, la minaccia sia finita. Anzi, è proprio in quel momento che dovete tenere la guardia ancora più alta. Potete rilassarvi solo quando l’aggressore se n’è andato o quando siete a una distanza che rende impossibile un colpo a sorpresa.
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5. Come vincere contro un avversario più grosso: errori da evitare per i più piccoli. In un combattimento di strada non esistono categorie di peso. Spesso ci troviamo a doverci difendere da persone più grosse, più forti e più pesanti di noi. Per sopravvivere a uno scontro del genere, ci sono tre errori fondamentali che dobbiamo assolutamente evitare. Il primo, se siamo una persona più minuta, è colpire a caso. Quando affrontiamo qualcuno molto più grosso e forte di noi, non possiamo permetterci di sprecare colpi. Dare pugni al petto, calci ai quadricipiti o colpire dove capita e a casaccio non serve a nulla. Potremmo non avere una seconda occasione per andare a segno. È importantissimo per le persone minute essere chirurgici nella precisione. Dobbiamo colpire punti strategici, come il mento per cercare un KO, il fegato che, se colpito bene, può lasciare l’avversario piegato in due, o, in situazioni estreme, zone sensibili come i genitali o le orecchie. In casi disperati, quando è in gioco la nostra vita, possiamo persino mirare agli occhi. Ogni colpo deve essere mirato e preciso, perché potrebbe essere l’unico che riusciamo a portare. Il secondo errore che dobbiamo evitare è restare fermi durante lo scontro. Se offriamo un bersaglio fisso, una persona con una stazza fisica maggiore ha molte più carte da giocare per sopraffarci. Potrebbe travolgerci, portarci a terra e sfruttare la sua forza fisica per immobilizzarci o schiacciarci. Per questo, dobbiamo muoverci continuamente: colpiamo e spostiamoci, colpiamo e spostiamoci. Non dobbiamo mai dare un punto di riferimento fisso al nostro aggressore. Essere più piccoli può persino diventare un vantaggio: spesso una corporatura minuta ci rende più agili e veloci rispetto a una persona più grossa. Dobbiamo sfruttare questa caratteristica per confondere l’avversario e rendere difficile per lui colpirci o afferrarci. Il terzo errore è cercare il contatto ravvicinato, come il clinch o la lotta a terra. A meno che non siamo super allenati in queste tecniche, il corpo a corpo è un autogol per un piccolino. Partiamo dal presupposto che entrambi gli avversari abbiano lo stesso livello di preparazione tecnica, magari prossima allo zero: due persone comuni che si scontrano in strada, che non hanno mai preso un pugno né dato un calcio. Una persona più grossa e forte avrà sempre un vantaggio nel contatto fisico: può spingerci contro un muro, immobilizzarci o addirittura schiacciarci con il suo peso. Per questo, dobbiamo mantenere la distanza. Dobbiamo colpire e ritirarci, restando fuori dal raggio d’azione dell’aggressore. Dobbiamo evitare a tutti i costi tecniche che implichino un contatto prolungato, come cercare di strangolare o portare a terra una persona più grossa: il rischio è troppo alto. Oltre a evitare questi tre errori, c’è un quarto consiglio che può fare la differenza. Se siamo più piccoli e affrontiamo un aggressore più grosso, che probabilmente ha già un vantaggio fisico su di noi, dobbiamo fermarlo agendo a distanza. Come? Con uno spray al peperoncino a norma di legge. Un buon dispositivo, con una gittata di circa tre metri, ci permette di neutralizzare l’aggressore senza avvicinarci. Quando colpisce, lo spray causa un effetto temporaneo: l’avversario non vede più nulla, inizia a tossire e si concentra su se stesso, dandoci il tempo di metterci in sicurezza insieme ai nostri cari. L’effetto dura circa 30 minuti e non lascia lesioni permanenti, quindi non ci sono problemi legali legati a prognosi mediche o ferite gravi. È una soluzione intelligente che ci tutela anche dal punto di vista legale. Anche se siamo bravi a combattere, che siamo piccoli o grandi, uno scontro fisico è sempre una situazione in cui tutti perdono. Potremmo uscirne feriti gravemente, oppure potremmo vincere, ma rischiare di pagare profumatamente le conseguenze legali per aver fatto male all’aggressore. Per questo, i consigli che vi ho dato sono utili per sopravvivere a un’aggressione quando non c’è altra scelta. Ma, se possibile, la strategia migliore è prevenire. Portare con noi uno spray al peperoncino, magari con una torcia integrata per illuminare il bersaglio al buio, è un modo intelligente per evitare guai. La difesa personale non è solo questione di muovere le mani, ma di pensare in anticipo e agire con astuzia.